Huangshan-Hongcun 13-14-15-16/XI/2012
黄山-宏村 2012年11月13-14-15-16日
彩云之南 我心的方向
孔雀飞去 回忆悠长
玉龙雪山 闪耀着银光
秀色丽江 人在路上
彩云之南 归去的地方
往事芬芳 随风飘扬
蝴蝶泉边 歌声在流淌
泸沽湖畔 心仍荡漾
“Il mio cuore viaggia a sud delle nuvole
Qui i ricordi indugiano come il volo del pavone
La montagna ricoperta di neve dello Yulong brilla argentea
Il bellissimo fiume di Lijiang mi mostra la via verso casa
A sud delle nuvole è dove vorrei ritornare
Come reminiscenza di un volo passato nel vento
Canzoni ed echi di farfalle in primavera
Mentre il cuore si commuove di fronte al lago Lugu”
(mia libera traduzione)
Sinuosa si inerpica nei timpani questa canzone di Xú Qīanyǎ 徐千雅, sono i luoghi del mio precedente viaggio, le musiche ed i colori del magico ed indimenticabile 云南 Yunnan.
L’ho ascoltata varie volte prima della lezione di Yoga nella mia palestra qui a Shenzhen, dove delle ragazze eseguono coreografie acrobatiche e molto differenti dal balletto classico a cui i nostri occhi sono abituati nel mondo occidentale
E magicamente l’ho ritrovata come suoneria del telefonino di una commessa in un drugstore in Anhui e non ho resistito nel chiedere nome dell’artista e titolo della canzone.
Sono appena tornato dal mio primo “Team building trip” ovvero dal mio primo viaggio di lavoro-ludico con il team lavorativo. Destinazione 黄山Huáng Shān, la famosa Montagna Gialla nel cuore della Cina ed esattamente nella provincia dell’ Anhui 安徽.
Non mi stupisce sapere che quest’area è stata oggetto di interesse di poeti, pittori e musicisti della Cina antica e registi e film dei nostri giorni (James Cameron l’ha immortalata con il colossal “Avatar” riproducendo tutta la vegetazione e le viste aere e l’Hongkonghese Ang Lee ne “La tigre e il dragone” ha rapito la magia delle foreste di Bamboo per i suoi combattimenti spettacolari)
… è uno dei luoghi con più carica spirituale che abbia mai visto e visitato.
I picchi di granito ocra, i caratteristici pini che sembrano sorreggersi appena sulla superficie sorprendentemente liscia ed omogenea delle pendici delle vette, le nuvole che si intersecano con le cime e fanno filtrare timidi raggi di sole e che diradandosi all’improvviso conferiscono allo spazio la profondità dei piani, delle foschie, delle nebbie e degli orizzonti luminosi… tutto, tutto contribuisce a stregare l’occhio umano in un trompe-l’oeil romantico capace di strappare brividi ed emozioni forti.
Non si deve il nome “montagna gialla” alla colorazione delle sue pendici dai colori cangianti ma bensì dal nome di un imperatore mitologico discendente degli dei che durante la dinastia Qin cambiò il nome originale di Yi Shan (monte Yi) per sostituirlo con il suo proprio appellativo.
Tuttavia la prima persona che si riferì alla montagna come Huang Shan è stato il poeta Li Bai nel 700 dC.
Ammetto di non essere uno scalatore provetto, di non aver mai scalato una grande montagna (questa ha il suo picco più elevato a “solo 1873 metri”), di non essere abituato all’ambiente montano e di soffrire tremendamente il freddo, ma le viste, i panorami e la possibilità di scattare foto uniche hanno ripagato il grande sforzo.
Tutte le persone scendevano la montagna e noi eravamo gli unici a risalirla con zaini pesanti come zavorre come dicono gli Hispanohablanti “Al camino largo el sombrero pesa” ovvero “Se il cammino è lungo anche il cappello pesa”.
Ogni picco ha un nome e una geologia differente: abbiamo visitato i più suggestivi, dal 始信 Shixin (“comincia a credere”) al 飞来石 Feilaishi (“Roccia Volante“), dal 光明顶 Guangming ding (“Cima luminosa“) al 丹霞蜂 Danxia feng (“Vetta della Nube Purpurea“); passaggi con ponti di pietra a sbalzo su strapiombi mozzafiato, le chiome degli alberi che sfumavano dal verde intenso al rosso sangue, il cielo che fondendosi con l’orizzonte e le nubi dava l’illusione di apparire come un immenso mare (non è un caso che nella mappa le aree geografiche di questa zona siano chiamati “mari”).
Insolito è stato l’avvistamento di alcune scimmie, Macachi Tibetani per l’esattezza, che mattiniere come noi alle 5.45 erano pronte per ammirare una colossale alba in lontananza.
In cima al picco più alto ho fatto amicizia con 3 signore coreane in gita nella provincia dell’Anhui. La conversazione era difficilissima: non parlavano inglese né cinese ma fortunatamente il 3g prendeva e ho potuto utilizzare il dizionario iglese-coreano che ho fortunatamente installato nel mio Samsung. Una delle cose che più mi ha fatto ridere è il fatto che delle 60enni hanno intonato sorridenti all’unisono il celebre motivetto “Hey sexy lady…” Gangnam style 강남스타일 del cantante pop sudcoreano PSY. Mi hanno invitato a Seoul e mi hanno promesso che cucineranno per me le prelibatezze della cucina Coreana 🙂
Abbiamo asceso la montagna attraverso le alte scalinate in granito che serpeggiano dalla valle alla cima (ci sono diversi percorsi e in totale si contano più di 60000 gradini di alzata media 23 cm e attraverso studi i più antichi risalgono a 1500 anni fa). Ognuno ha la propria tempistica di salita, io ci ho messo 7 ore, dalle 12 alle 19 per l’esattezza: ho visto un tramonto perdifiato, come il sole tinge color sangue il cielo che lentamente perde intensità cedendo alla tonalità oltremare della notte. Riconosco che sarebbe stato più facile e comodo salire la montagna con il teleferico panoramico (80RMB), risparmiandomi così più di 5 ore di salita ripida e massacrante che con lo zaino pesante e la giacca da snowboard sottobraccio tanto sembrava alla fatica del vecchio Sisifo, ma non avrebbe avuto lo stesso effetto… quella soddisfazione e relax spirituale che ho provato raggiungendo l’hotel sulla vetta lisciando appena l’oscuro più totale. L’hotel era più che altro un “rimedio per la notte”; abbiamo dormito in 8 in una stanza grande un medio salone, estremamente calda per via di un riscaldamento esagerato, coperte pesanti e sovraffollamento soffocante (per fortuna è durato solo una notte). Con sorpresa ho provato dei nuovi 南瓜饺子 nangua jiaozi, ravioli al vapore con ripieno di zucca e carne di maiale, ottimi.
Successivamente alla panoramica discesa in teleferico dal Picco dell’Oca Bianca con i polpacci doloranti e la schiena piegata dai pesanti zaini ci siamo diretti verso il villaggio di 宏村Hóngcūn anch’esso patrimonio Unesco come la montagna.
Singolare l’esperienza dell’ostello dove abbiamo alloggiato, che era estremamente freddo, stanze enormi e fastidiose e maleodoranti cimici dappertutto e che soprattutto inizialmente non voleva accettare il gruppo per via della presenza mia e di Pablo…外国人 waiguoren ovvero stranieri, non cinesi.
Non sono esagerato nell’affermare che anche questo villaggio è stato una sorpresa, una perla di poesia, colori e riflessi. Costruito topograficamente per assomigliare al corpo di un bue si erge sulle acque placide dei fiumi che ne rappresentano le “zampe” e un maestoso lago interno circondato da edifici antichi e sculture risalenti alla dinastia Qing e Ming popolato da bianche oche e ninfee che rappresenta lo stomaco.
Abbiamo avuto a nostra disposizione tutti i possibili scenari metereologici in questa breve ma intensa vacanza: dal cielo azzurro e limpido dell’ascesa, alle nubi magiche della discesa, dal caldo sole che rifocillava le forze alla pioggia leggera che rendeva tutto omogeneo e pieno di riflessi.
La montagna e il villaggio hanno rapito anche me tra schizzi a china, fotografie e versi.
Ho appena prenotato il volo per l’anno nuovo cinese: l’anno scorso sono state Xi’An, Shanghai e Guilin le città protagoniste, quest’anno lascio la Cina alla volta del caldo ed esotico Vietnam del sud.
Tra 81 giorni si vola a Thành phố Hồ Chí Minh, un tempo la vecchia Saigon: Ho Chi Minh.
Alla prossima 😉
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