A quattro anni
Sonnambulo m’alzavo nel cuore della notte
E una spada sguainavo dalle federe madide del mio sudore.
Mimavo avversi,
ghigni e gesti
che solo il mio orecchio poteva sentire
riflesso sulla superficie d’un cucchiaio piegato innaturalmente:
Imitavo i grandi guerrieri.
Mi riusciva facile disegnare trappole e strategie con pennarelli
Sul parquet che volutamente scambiavi per pentacoli di
malaugurio:
Infondo erano solo dei mattoni frantumati e la coda di qualche
ratto in corsa
Verso il mio lettino.
Poi guardandomi gli zigomi, non gli occhi,
una luna, hai lasciato che mi cadesse in testa quel castello di
lego
che assieme avevamo progettato
e che al soffitto con un filo di nylon avevamo fissato.
Un riverbero di luce, un’eco pusillanime di vento
Che bislacca come la tua mano m’accecò come un pugno
Ed immobile nel mio sorriso di cera ammiravo il ticchettio
sgarbato
Dei miei denti da latte sul tavolo di cristallo.
Ho sciolto troppe statue di sale con lacrime mai scese
E bruciato fotografie che puzzavano di benzina
Senza accorgermi che quel tuo respiro era solo brezza
E quelle ferite ancor aperte erano la firma d’un essere mai
incontrato.
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