Prefazione
“C’è un’analogia [del linguaggio della poesia, ndr] che resiste nel tempo, quella con il linguaggio del sogno […]. Oscillando tra menzogna e verità, tra folgorazione realistica e ombra mitica, il linguaggio del sogno si giustifica con la sua stessa esistenza; non si può non sognare. Il linguaggio della poesia corrisponde a una necessità analoga: non si può non esprimersi, non si può non mangiare.
La poesia è l’evidenza dell’esserci nella sua forma più essenziale, più spoglia. Il paradosso sta nel fatto che ci nutre con domande più che con risposte. Interrogare la propria necessità è funzione irrinunciabile della poesia come interrogare la vita, in un nodo a treccia.”
(Antonio Porta, Nel fare poesia)
Luca D’Amore ha fatto propria già da tempo la solida e comprovata visione di Porta e questa nuova raccolta conferma appieno che il suo “stare dentro la poesia” è, di fatto, uno “stare dentro la vita”, che il suo pensare, sentire e immaginare è di per se stesso uno “stare dentro il linguaggio della vita”, e il sentimento che ne scaturisce altro non è che l’estasi dell’esserci:
[…]
L’umore d’uno sguardo corre a briglie incrociate
E sbatte sui vetri a fasi alterne registrando spasmi e abbagli di lacrime.
Sfocata, l’aura della foglia permane ancora 1/8 di secondo
[dopo che il vento se l’è trascinata con sé
Dietro,
Ormai,Solo gocce di tempesta e germogli di uragano
In un sorriso occluso tra il fango del giorno e la falce del notturno.
(Ricordo d’oblio)
La poesia di D’Amore sta dentro il linguaggio della vita come la vita stessa e la storia degli uomini ce lo consegnano giorno dopo giorno, non fissato per sempre e immutabile, ma in continua trasformazione, perché a sua volta esso sta dentro l’esperienza immediata, il sentimento che cambia, i luoghi diversi, il tempo che passa:
[…]
C’era un tempo in cui ho visto una foto di noi due
Era un futuro.
Pensare è interdetto al primo attimo
In cui ci scrutammo come tigri nell’arena curiosa d’una domanda
Non penso al domani
Non penso.
[…]
(La nota stonata in una bella canzone)
I suoi versi trovano forza nella radicalità di una scelta linguistica caratterizzata da contaminazioni, da classicismi ridipinti a tinte beat, da citazioni riorganizzate a fondo e fatte proprie. I loro esiti rimangono comunque imprevedibili, anche rispetto a un’esperienza ormai ben codificata come quella del loro giovane autore. Soltanto nel momento decisivo di venir fissata sulla carta, la poesia di D’Amore si mette a disposizione di significati che da lei possono scaturire, quasi a dispetto della stessa volontà del poeta e delle sue reticenze:[…]
Duello tra dolori e voleri
Quello che sono stato m’appartiene ancora una volta
Ma chiuso rinnega l’azione
In mari di lungimiranti stormi
di ipotetici
futuri
[…]
(Piercing linguae)
Tutti i possibili amori trovano spazio in queste liriche, tutte le loro declinazioni, i loro possibili colori, in un flusso emozionale pressoché ininterrotto, aritmico, quasi senza cesure:
Ti ho incontrata
In un bacio al veleno sulla luna.
Fragile vessillo quell’anima leggera
Che ai venti stellari reagiva in condizionale.
Atterrare vorrei poi sul meteorite di latta compatta
E tra le nubi del viaggio
Trovare una mano altra oltre la tua
Che in fretta stringe per non lasciare.
(Reazione in condizionale)
Un flusso emozionale che sperimenta voci nuove e nuove sonorità servendosi anche di altri idiomi e di altri graficismi:
Las Historias de hoy son las realidades de mañana
Es que sigo esperando respuestas
Que tú no me das
Solo miradas infantiles que me hacen tonto e incapaz de Entenderte.
Algo falta entre los dos.
Pesadilla y dentro de poco. Sueño
Balancín angustiante.
Amanezco cada día en tus labios
para acostarme de noche
– en El desarrollo de la niebla –
en tu mirada.
[…]
(Buitres negros)
Sullo sfondo la vita, sempre vissuta a pieno, in ogni sfaccettatura, anche senza ben capire come “possa giocare a nascondino con l’abbaglio / E rincorrere tapis roulants di dissidi e incertezze”:
[…]
La voce sussurra di plastica due parole
Impacchettate dall’inchiostro sporco del mio calamaio
Un fiore del male sbocciato dal seme d’un girasole.
Sempre rimirando sguardi fuggo
Arrossendo in tramonto strettamente distante
In insonne stato dall’erta.
Selvatico l’odore dei sensi
Zigzaga docile in luce e buio
Fotografa per non obliare.
[…]
(Presente eppur ormai passato)
Una vita vissuta tra gli alti di entusiastici slanci alla speranza e i bassi di momenti di infelicità senza desideri, nel dubbio tormentato che viene dai sogni che ad essa si accompagnano:
[…]
Le vecchie sorrisero
E mi dissero che nulla si poteva fare
Ed è normale che accada questo
Quando è l’anima a correre inseguita da un corpo
Fatto di stracci
Vetri
Sangue
Grumi di asfalto
E lamiere alla rovescia.
(άποκάλυψις [Poker face II])
La parola di D’Amore parte veloce, sconfina, ritorna, come un colpo di boomerang. Ma dentro ha sempre un’anima forte, una profonda umanità, rifuggendo ogni intellettualismo fine a se stesso e ricordando quanto mai necessario sia il suo scriversi, il suo farsi:
Mi domando a volte
Perché continuare ad ingurgitare terra e petali di rosa
Intingere le dita nel tè alla cannella
Tagliare sguardi a mezzogiorno
E gemere l’alba quando le nubi respirano luce
Mi domando a volte
Perché seguire le orme calpestate del mio destino
Spazzate via dal vento della passione
Inondate di fango e rifiuti dal veleno di tutti i baci che ho dato
Sommerse di lacrime bruciate e inaridite
Dal sole dell’ennesimo tramonto vigliacco
Che domani strapperà via l’ennesima essenza della mia gioventù.
(Un giorno come un altro)
Quelli di D’Amore sono versi liberi scanditi da grande onestà e da profonda passione, e trasformano il giovane autore, ai nostri occhi, in una seria promessa del moderno “interrogare la vita” facendone poesia.
Giordana Evangelista
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