Nanjing 28-29-30/VI/2013

南京 2013628-29-30

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“L’autenticità ha poca importanza, la copia è considerata altrettanto sublime dell’originale, purché si ispiri agli stessi princìpi. E li rispetti nella forma e nella sostanza.”

Renata Pisu-Mille anni a Pechino

Per pura casualità mi sono balzate sullo schermo alcune immagini che ritraggono le abitazioni private di alcune persone che nell’odierno Giappone prendono il nome di Hikikomori. Con questo termine si definisce “la persona che si isola dal mondo” che preferisce restare chiusa nella propria stanza un arco di tempo che varia dai 6 mesi alle decadi. Le loro dimore erano invase da plastica, rifiuti di ogni genere selezionati e collezionati, poster manga, giornali e riviste, e ovviamente non manca mai uno schermo gigante e un computer. Il problema dell’incomunicabilià del mondo moderno porta queste persone a rinchiudersi nel proprio luogo sicuro e di avere come unici contatti col mondo esterno le chat-room, i giochi on-line, e come compagni di vita i videogiochi e i libri. Si sbaglia a credere che questo possa limitarsi al paese del sol levante: secondo una moderna inchiesta il fenomeno si diffonde rapidamente anche in Europa e negli USA. Indubbiamente è una forma di depressione che facilmente termina con una distimia ma è raro che queste persone possano commettere suicidio in quanto sopraggiunge il narcisismo e l’idealizzazione del sè. Un problema che fa parlare, che malgrado possa apparire  molto lontano dalla situazione “normale” delle persone, resta sempre un buono spunto per riflettere e farsi domande.

È frenetica l’attesa dei 25 giorni che mi separano dalla mia famiglia, dalla mia Italia. È difficile la situazione a lavoro con progetti ostici, clienti difficili e consegne di lavori in tempi stretti. È impossibile gestire ogni tipo di relazione personale esattamente come la si vorrebbe senza incorrere in disastri, allontanamenti e malintesi.  Malgrado le numerose ansie viaggiare è ancora ciò che mi isola da tutti i problemi, mi proietta in una dimensione dove non sono altro che una soffice spugna in una piscina strabordante di acqua. Così con la mano sulla lonely planet di Singapore (mia imminente prossima meta) e nel cuore la gioia del mio agosto italiano mi accingo a delineare la seconda ed ultima parte dell’avventura in Jiangsu, esattamente a Nanchino 南京.

La “Capitale del Sud南京 Nanchino , oltre ad essere il capoluogo del Jiangsu e una delle più belle e prospere del paese, fu una tra le prime città fondate nell’odierna Cina. La ricchezza e fortuna di Nanjing conobbero fasi intermittenti per via delle varie dinastie, della venuta dei mongoli (che trasferirono la capitale a Beijing) e le varie guerre. Proprio  a Nanchino in piena Guerra dell’oppio vennero gli inglesi per firmare il primo dei “trattati ineguali” che aprirono diversi porti cinesi al commercio con l’europa e costrinsero la Cina a pagare un forte risarcimento di guerra cedendo ufficialmente il territorio di Hong Kong (il porto marittimo più importante). Come ho accennato negli articoli dedicati a Taiwan, Nanjing è stata anche la sede nel corso del XX secolo della capitale della Repubblica di Cina (non Popolare) sotto la egida di Chiang Kai-shek. Impossibile per me non connettere la memoria di questa città con il film “The Flowers of war金陵十三钗 Jīnlíng Shísān Chāi di produzione cinese e dove recita anche un 外国人(waiguoren=straniero): Christian Bale. Sono i colori e la fotografia che solo un genio come Zhang Yimou può regalare sullo schermo, uno Steven Spielberg cinese che magistralmente porta sul grande schermo una vicenda sanguinosa e oscura, un “olocausto  dimenticato” come lo definisce la suicida scrittrice cinese-americana Iris Chang: Lo stupro di Nanchino, ovvero l’invasione giapponese nella terra di mezzo. Assolutamente poetica la scena dell’esibizione delle 14 donne sulle note della canzone The Legend of Qin Huai River. Ovviamente un film diretto completamente dalla Cina non può far altro che elogiare la sofferenza del suo popolo ma è indubbia l’atrocità commessa dal popolo giapponese in un colonialismo tardivo ed esplosivo in piena seconda guerra mondiale. Non per sminuire l’olocausto occidentale a cui siamo abituati, a cui dedichiamo giorni, poi settimane e poi mesi della memoria, film, lacrime e libri, ma è mai stato nominato il numero 300.000 nei libri di storia che si adottano in europa, nelle trasmissioni televisive, nei film, nelle librerie…. 3 x10^5 corrisponde al numero di morti che la bandiera giapponese arrecò ad una Cina assolutamente non preparata.

Senza ombra di dubbio il monumento più quotato di Nanchino e il “Museo commemorativo del Massacro di Nanjing”. L’edificio presenta le stesse caratteristiche delle architetture a scopo funebre-commemorativo, larghi spiazzi deserti, sculture giganti, nodose e scarne (come usciti dalle pennellate di un Espressionismo Tedesco), colori freddi, presenza di acqua, vetro, pietra e poco verde. Il museo non credo sia adatto a bambini e a persone estremamente sensibili al sangue e alle atrocità perché di questo si tratta anche se possiede un vasto archivio fotografico, letterario, documenti ufficiali, mappe e video. La cosa che più mi ha lasciato inorridito è la foto di una testa mozzata di un ragazzo di Shanghai posta su una staccionata nel cuore della città con una sigaretta accesa in bocca come burla. Ho apprezzato tuttavia la presenza di molti turisti nipponici e la presenza in qualsiasi insegna della tripla lingua cinese-inglese-giapponese.

Il motto del museo 可以宽恕但不可以忘却. “puoi perdonare ma non dimenticare” tesaurizza appieno tutto il dolore di una intera nazione che, malgrado non voglia occultare i problemi che la caratterizzano dall’interno, non vuole assolutamente dimenticare la violenza che ha ricevuto dall’esterno.

Clicca per visualizzare la parte II dell’articolo

Galleria fotografica relativa

questo il video del film “The Flowers of war” di Zhang Yimou


0 Risposte to “Il Jiangsu Parte II: Agli antipodi di Pechino, la capitale del sud Nanchino parte 1”



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