Yangon 1-2/X/2013

仰光 2013年10月1-2

“Accade sempre così per la gente titolata, sono adorati oppure odiati: se si degnano di parlare con una persona che non appartiene al loro rango vengono subito definiti simpatici e alla mano; se non lo fanno sono superbi e odiosi. Non ci sono mezze misure.”  George Orwell – Giorni in Birmania

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Ho scoperto che in alcuni casi non è conveniente viaggiare da Hong Kong e che risulta essere più opportuno l’aereoporto di Guangzhou (Canton); è più distante a kilometri dalla mia attuale città ma nel caso di alcune mete, a differenza della vicina metropoli, è molto collegato, come nel caso del Myanmar.

È stata la mia ex collega Mary a farmi conoscere questo paese e ad installare nella mia mente una forte voglia di esplorare questa meta ancora oggi molto misteriosa.

Dopo essere stato in Cambogia, Vietnam e Thailandia il Myanmar credo sia il pezzo mancante per capire e vivere l’Indocina (pur mancando all’appello il Laos).

La ex-Birmania (in burmese, Myanmar,), il cui nome ufficiale è Repubblica dell’Unione della Birmania è uno Stato della penisola indocinese, che si affaccia sul Golfo del Bengala e sul mar delle Andamane,confina da ovest a est con Bangladesh, India, Cina, Laos e Thailandia.

Il territorio della Birmania si estende per due volte la lunghezza dello stivale italiano ed è uno dei paesi definiti “in via di sviluppo”.

A seguito del colpo di stato avvenuto nel 1988, il paese è controllato da un regime militare che nel marzo 2006 ha spostato la capitale da Yangon a Pyinmana ufficialmente rinominata Naypyidaw, cioè “sede dei re”.

Le prime popolazioni ad abitare l’area dell’attuale stato provenivano dalla Cina e dall’India, rispettivamente Mon e Pyu e si stanziarono prevalentemente lungo le rive del lungo fiume Irrawaddy che nasce dalle propaggini dell’Himalaya e sfocia nel golfo del Bengala. Il nome Irrawaddy in burmese vuol dire ‘fiume degli elefanti’ ma dei pachidermi non si vede più l’ombra in questa area da molti anni. Proprio dall’India e più in particolare dalla scrittura Tamil è stata influenzato l’alfabeto burmese, circolare, elegante e geometrico. Le guerre interne tra le varie etnie furono varie e di grande entità ma fu l’arrivo degli Inglesi a caratterizzare l’era coloniale della Birmania. Quando gli inglesi spostarono la capitale da Amarapura a Mandalay (1852) iniziò il processo di ‘modernizzazione’ della colonia con l’introduzione di macchinari agricoli, la costruzione di industrie e la creazione di un sistema postale. Solo quando la Birmania divenne inoltre un vicereame inglese controllato dall’India la capitale venne spostata a Yangon. Nella seconda guerra mondiale fu la volta dei Giapponesi, che dopo aver occupato la Manciuria nella Cina settentrionale, invasero tutta la penisola Birmana e vi rimasero fino al 1942.

Nel 1947 Aung San firmò il primo trattato per l’indipendenza con un accordo col primo ministro britannico Clement Attle e solo a seguito del governo di Ne Win venne decretata la legge marziale e il potere venne totalmente consegnato all’esercito.

L’arrivo a Yangon o Rangoon (coma veniva chiamata durante la colonizzazione) è stato abbastanza particolare perché subito usciti dall’aeroporto ci ha accolto al tramonto uno stormo enorme di corvi che ci ha accompagnato con il caratteristico schiamazzare fino all’arrivo del taxi.

Yangon è una città dal carattere misterioso che si rivela come una matrioska al visitatore. Le case che abbandonate all’inesorabile avanzare del tempo conservano il fascino coloniale e le forme inglesi delle facciate; i banchi di carne, pesce e verdura lungo le strade; i brulicanti mercati coperti ricchi di oggetti artigianali e gadgets turistici; i fili elettrici neri che corrono come quelli di Bangkok sfiorando appena le finestre degli edifici, i cani randagi scheletrici, le auto antiche con guida ad entrambi i lati senza alcuna regola, i taxi senza aria condizionata e rigorosamente senza tassametro.

Tuttavia mi ha decisamente sbalordito di come tutti parlino un buon inglese o che per lo meno abbiano la possibilità di spiegarsi e capire.

Il Bagyoke Aung San Market e’ una meta imperdbile per i colori, le persone con vestito tipico, i burattini, le lacche, le sculture, i ventagli di sandalo (che le donne sventolano emanando il dolce aroma del legno), il longyi (tipico pareo dai colori accesi che indossano i burmesi), le pitture tradizionali ed i negozi di antiquariato.

Anche l’hotel era molto speciale perché, immerso in una zona oscura e fuori dal centro, aveva una terrazza panoramica dalla quale si poteva scorgere la pagoda dorata di Shwedagon Paya illuminata a giorno come fosse un miraggio o una immagine irreale da sogno. La Pagoda appena citata e’ non solo uno dei monumenti piu’ famosi di Yangon ma un centro religioso importantissimo per il  Buddhismo Theravāda (Sanscrito: स्थविरवाद sthaviravāda, letteralmente “la scuola degli anziani”) che è la più antica scuola buddhista tra quelle tuttora esistenti, originata da una delle prime e più importanti dottrine nate dall’insegnamento di Siddhartha Gautama.

Del complesso templare mi ha colpito la maestosita’ e il preziosismo dei dettagli, la forma della grande pagoda ricorda una Campana dorata il cui pennacchio, come quello di tutte le innumerevoli cupole secondarie, e’ sempre ornato da campanelli che al vento ondeggiano diffondendo in tutta l’area una melodia serena e pacata. In ogni tempio Birmano si entra rigorosamente a piedi scalzi e nel caso delle donne con uno scialle se hanno le spalle scoperte. E’ stato magico poter avere un quarto d’ora per contemplare e immortalare sul mio “zibaldone” all’ombra di un portico decorato da merletti lignei il continuo pellegrinaggio di neri corvi sulla superficie dorata della grande pagoda. Il tempo durante la prima parte della visita non e’ stato clemente e piu’ volte a causa della pioggia si e’ rischiato di scivolare rovinosamente sul marmo a piedi nudi, ma i un secondo momento il cielo ci ha regalato una luce speciale che sembrava strappata ad un quadro veneziano del 1500. Tra i materiali utilizzati, oltre al marmo bianco, l’avorio e il sandalo, per decorare si utilizza molto il vetro, trasparente e a specchio che fornisce una lucentezza particolare e un’aura soprannaturale alle superfici. E’ bizzarro come qui in Birmania, e analogamente in Cina, si accosti violentemente il moderno al tradizionale nel vano tentativo che passi inosservato il contrasto; per giungere alla grande piazza sacra e’ stata eretta una grande torre con visibili due ascensori di vetro per l’accesso diretto senza passare per le quattro grandi scalinate porticate disposte nei quattro punti cardinali. Alla ricerca di una toilette su una parete secondaria del grande corridoio Nord di accesso mi sono imbattuto in un bellissimo esemplare di Insetto stecco, non l’avevo mai visto dal vivo..

Le monache buddhiste vestite di rosa, con la testa rasata e una stuoia rosso sangue a tracolla sfilavano placidamente sul marmo del tempio sorridendo ai turisti e imbarazzandosi se prese di mira con una obiettivo fotografico.

La maestosa Sule Pagoda al centro della piazza rappresenta il punto baricentrico della citta’ e non molto distante si trovano il palazzo del Governo, bianco come lo zucchero, i mercati notturni (che vendono di tutto, anche telecomandi usati antichi e di tutte le marche), lo Strand Hotel che detiene ancora il primato di essere il piu’ lussuoso di tutta Rangoon e che conserva al suo interno oltre allo stile coloniale dell’arredamento le antiche mappe della citta’.

In un ristorante famoso di cucina tipica che ci era stato raccomandato abbiamo potuto gustare dei sapori tipici birmani. Sinceramente mi aspettavo di trovare quel delizioso Amok che ho provato a Siem Reap (Cambogia) ma mi sbagliavo, la cucina birmana risulta essere una mediazione culinaria tra la vicina India a Occidente e la Cina ad Oriente, mediazione gegrafica e culinaria. Nel comnplesso a mio avviso gustosa e fantasiosa.

Chiunque viaggia per il Myanmar impara che il ritmo qui è differente, non frenetico e sembra appartenere ad altri periodi: le lunghe attese possono sembrare un disservizio ma sono semplicemente il riflesso di una cultura che si è modellata sopra la pacata e docile filosofia buddhista e che ha appreso inoltre la gentile e caritatevole morale cristiana. Comprare un volo interno da Yangon a Bagan è stata un’impresa ardua e oltre a dirci apertamente che i prezzi per i turisti sono esattamente il doppio matematico dei biglietti per i locali, non ci è stato chiesto nessun passaporto o documento di riconoscimento.

Non si può visitare la ex Birmania senza restare affascinati dai volti delle donne, ma anche di alcuni uomini e bambini, vivacemente dipinti di ocra con motivi geometrici utilizzando il caratteristico thanaka che viene ricavato dalla corteccia di due specie arboreee chiamate, Linoria acidissima e murea exotica, e che funge da protettore solare, profumo, tonico per la pelle e make up tradizionale.

Altro aspetto estremamente caratteristico è la assidua presenza di banchetti artigianali lungo le strade principali che vendono una misteriosa pietanza, come un involtino di foglie di Piper betle detto Betel con all’interno freammenti di noce di areca (Areca catechu L.), calce  spenta (che agisce liberando gli alcaloidi dai loro sali) e a volte foglie di tabacco. Fondamentalmente è un masticatorio, grande quanto una Big Babol, e tutti ne fanno largo uso, l’ho volute provare anche io e non sono riuscito a tenerlo più di 10 secondi nella bocca, un sapore troppo forte e amaro che però, devo ammettere, in un secondo momento lascia un sapore gradevole e un alito fresco (non è un caso che la noce di areca tritata è uno dei maggiori ingredienti per le paste dentifricie). La parte sgradevole è rappresentata dalle macchie nero intenso che l’uso del Betel arreca alle gengive ed allo smalto dei denti (alcune persone si ‘laccano’ i denti per evitarle) e la presenza costante di chiazze rosso sangue sull’asfalto e su qualunque superficie orizzontale presente dovuto al continuo ‘sputacchiare’ il liquido prodotto dal chewing gum artigianale (il continuo masticare e la composizione chimica porta ad  una estrema salivazione).

Il museo di arte di Yangon era molto interessante anche se visivamente male allestito e con molte poche traduzioni in lingua inglese. La sala che ospita il Grande trono reale dorato e’ impressionante ed imponente e da sola vale la pena per visitare il museo; e’ stato magico ed inaspettato ritrovare alcune tavolette lignee dipinte e laccate con la scrittura tondeggiante tipica molto simili a quelle che avevo fotografato nel Museo di arte e storia orientale di Singapore.

Dopo l’ultima visita alla nuova Sein Yaung Chi Paya (la pagoda di vetro) con meravigliosi effetti ottici che distava 5 minuti a piedi dal nostro hotel abbiam corso all’aeroporto dove ci aspettava un volo senza contro passaporto. Nel nostro stesso volo viaggiava un monaco buddhista che poi abbiamo scoperto essere un personaggio estremamente illustre da quelle parti, che emozione!

Dall’oblo’ del veicolo uno spettacolare paesaggio lunare ci portava a Bagan, dove nel bel mezzo di una radura verde elettrico spuntavano i laghi e le rovine brune dei templi che alla luce del tramonto splendevano di una luce rossastra.

Il resto del viaggio sara’ oggetto del prossimo imminente articolo.

PS: Le guardie dell’Aeroporto Burmese di Yangon, affollato di turisti cinesi, sapevano dire solo una cosa in mandarino:  排队 ovvero Mettiti in fila!

Galleria Fotografica


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