Prefazione
La silloge che vien fuori da Alibi inversi è un lavoro ampio e complesso,
che sperimenta e analizza una molteplicità di temi e di situazioni, un’antologia
ragionata e orchestrata sapientemente in modo da realizzare una
composizione organica, in cui ogni singolo verso sia in perfetta concordanza
con gli altri. Nulla è lasciato al caso, dunque, ma tutto risponde ad una
precisa volontà di unitarietà e ad una coerenza globale. La stessa struttura
è organizzata in maniera meticolosa, suddivisa in nove sezioni, ognuna
recante il nome di una delle muse greche.
È evidente, dunque, fin da subito, un forte legame con la classicità, alla
base dell’intero lavoro. I nomi delle diverse sezioni si susseguono evocando
ed invocando la poesia epica, la storia, la poesia amorosa, fino a giungere
all’ultima parte in cui ci si rivolge a Urania, la Musa dell’astronomia.
In questa riproposizione, l’autore, però, non si limita a riportare su carta
antiche mitologie, ma va oltre, fondendo il classico con il moderno, il passato con
il presente. Riprende il mito, ma lo adatta, in chiave contemporanea, affrontando
una varietà sconfinata di temi, mettendosi anche in gioco in prima persona,
con la sua vita, i suoi amori: “Aspetto domani / per respirare un tuo sguardo
/ che troppe volte ho dimenticato / senza neanche guardarlo un’ultima volta”
(Lacrime mai scese). E ancora, “Vorrei sentire frusciare il tuo vestito /
Di canapa, tra le spighe di grano /E di nuovo /Raccontarti di come le cicogne
/Dialogano con le ali” (L’Abbrivio). Una dolcezza tramutata in versi, un
amore celebrato, ma mai banalizzato, parte dell’esistenza, che lo induce a riflettere
sulla sua natura umana e sulle relazioni con il mondo esterno.
Ma la silloge di Luca D’Amore è anche gioia, passione, velocità, rabbia.
Avrei voluto
A volte drogarmi di rock
[…]
Rapinare un negozio di liquori
Dissetarmi con l’adrenalina
Di cui ho bisogno
Disperatamente
per sentirmi vivo
Avrei volentieri
Conquistato il cuore di Thelma
Per gettarmi con lei giù da un precipizio
Urlando ribelli contro il cielo
E rinfacciare al sole di non essere
Poi così tanto splendente.
(Vorrei rinfacciare al sole di non essere poi così tanto splendente)
Una poesia senza respiro, che procede verso dopo verso, attimo dopo
attimo, scorre rapida come le immagini che evoca, per poi fermarsi di colpo
dinanzi al sole, sfogare la propria ribellione anche contro di lui e continuare
ancora, in un immaginario viaggio senza posa.
Lo sguardo si rivolge, poi, al mondo che gira intorno, con le sue peculiarità
e i suoi problemi, le figure, i personaggi che si distinguono dalla massa e
lo rendono unico, eccelso. Attento conoscitore della storia in generale e della
storia dell’arte in particolare, Luca D’Amore celebra figure che hanno fatto
da spartiacque, che hanno contribuito in un modo fuori dal comune.
Una bottiglia capovolta
Un rigagnolo di passione che lento conquista la tela/
Goccia a tradimento sul cappello da cowboy.
Bicchieri si riempirono per poi vuotarsi
E con loro anche la tua atarassia.
La tela non è più uno spazio da progettare
Ma un’arena in cui combattere.
Disegni,
schizzi,
un segno – un gesto.
Accartocciate le idee tendono a materializzarsi
con l’elettrocardiogramma dei tuoi pensieri
che, montagne russe, vollero sposare la tela
come la tua mano quel gesto alcolico.
Così quelle linee nervose con la corteccia d’un albero si sfaldarono
Sdrucciolando fuori strada
Lasciando la scia d’un pneumatico sull’asfalto
Come tuo ultimo disegno di vita.
(Virtuosismi: dedicata a Jackson Pollock)
È questo un componimento che rende omaggio ad un grande artista contemporaneo,
scomparso prematuramente, una fusione totale tra vita e arte,
che viene resa qui in maniera encomiabile, raccogliendo in pochi versi, un’intera
vita, finita tragicamente “sdrucciolando fuori strada”.
Lo sguardo dell’autore è sempre a tutto tondo, capace di cogliere le
sfumature più piccole dell’esistenza, così come di fondere insieme nuovi
modelli espressivi e linguistici. Frequente, nell’arco del suo lavoro, appare
l’inserimento di una lingua straniera o anche soltanto di pochi significativi
simboli. È il caso, ad esempio, di Ikebana, dove, sotto il titolo,
troviamo la sua trascrizione giapponese. O, ancora più frequentemente,
la poesia in italiano è preceduta dalla versione in inglese o in francese,
creando uno stile che possa essere il più ampio possibile, indirizzato ad
un numero di persone nettamente superiore; nello stesso tempo, l’autore
opera, in questo senso una sperimentazione linguistica, dove anche il
senso delle parole è traslato attraverso suoni diversi, più duri o più dolci
a seconda dei casi.
Un’intima e profonda riflessione, un momento di pausa nella frenesia
della vita viene, dunque, sottolineato da parole diverse, ma recanti lo stesso
recondito significato.
Nothing to lose
But an existence.
What a difference a single footprint could make?
Only one more in this sandy ocean
And a fissure in my memory, the wall of a bottomless pit.
[…]
(The one I never)
Niente da perdere
Tranne la vita.
quale differenza potrà mai fare una singola impronta?
Una in più in questo oceano di sabbia
E una crepa nella memoria, parete interna di un pozzo senza fine.
[…]
(Quel che mai)
Ed ancora, un pensiero sulla propria identità può sfiorare l’universale,
se reso in linguaggi diversi.
[…]
an harlequin
I am
in a smothering bottle
a prisoner
like a message not still read
like a message not still dressed
floating as like as my memories
drunk of loneliness
sinking in every ocean
[…]
(The Milestone Mermaid’s Shell)
[…]
un arlecchino
ecco, chi sono
in un’asfissiante bottiglia
io, prigioniero
come un messaggio ancora non letto
come un messaggio ancora svestito
alla deriva come memoria
ubriaco di solitudine
che affonda in ogni mare
[…]
(La Conchiglia dell’Incantatrice Miliare)
Ci troviamo qui di fronte ad una duplice sperimentazione: non solo il
canale linguistico ampliato, ma anche la scrittura in sé: non è più un lavoro
in solitaria, ma è una poesia scritta a quattro mani. Numerosi sono i componimenti
che presentano questa caratteristica, gli autori che accompagnano
Luca D’Amore sono diversi, la voce che ne vien fuori è una voce collettiva,
un senso della Poesia alto, che va oltre gli stereotipi e i confini della poesia
contemporanea, per valicarli e creare il nuovo, rendendo onore alla Poesia
in maniera completa, sia dal punto di vista espositivo, che contenutistico,
elevandola dalla banalità in cui troppo spesso si trova.
Paola Santamaria
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