Singapore 19-20-21-22/VII/2013

新加坡 2013719-20-21-22

20

Eccomi in territorio italiano, sto scrivendo dalla torrida Roma di ritorno da uno shopping letterario che dovrà esser sufficiente fino a Natale. Essendo prossimi al ferragosto mi aspettavo una Capitale completamente deserta ma invece è più piena rispetto agli anni scorsi; pare che solo il 50% delle persone siano potute andare in vacanza in quest’estate 2013

Il Viaggio nell’isola di Singapore è voluto coincidere per destino con le prove per il festeggiamento nazionale dell’indipendenza (9 agosto). Il 20 una gran festa, iniziata alle 16, ha portato in mare una sfilata di navi da guerra e marines in abito da cerimonia e nel cielo una parata di 9 caccia schierati in modalità di attacco piramidale che avanzavano compatti a bassa quota e con un frastuono che arrivava almeno due secondi più tardi si disperdevano nel cielo azzurro lasciando scie colorate. Un grande elicottero militare seguito da altri due più piccoli trascinava una enorme bandiera bianco/rossa in onore alla nazione di Singapore.

Una delle caratteristiche più affascinanti di Singapore è la capacità di essere una città europea ma al tempo un’affascinante polis orientale, l’India si mescola con la Cina, l’Inghilterra con la Malesia e anche la cucina risulta essere un riuscito esperimento Fusion.

Una delle attrazioni che più hanno catturato la mia attenzioni è stato il “museo delle civiltà asiatiche”situato nel coloniale palazzo Empress place, di fronte alle acque del fiume Singapore tra la zona del Clark Quay e l’Esplanade. Una caratteristica che lo colloca al di sopra degli altri musei è quella di essere un perfetto iter nella cultura asiatica nel più completo significato; statue, dipinti, mobili antichi, videoproiezioni, ombre, litografie, musiche e schermi tattili che dialogano con i visitatori spiegando le varie culture e che lo guidano attraverso le varie sale alla scoperta delle antiche culture.

Il passaggio di fronte al museo della civiltà asiatica sulla sponda opposta del fiume è popolato da sculture dalle quali emergono quella di Botero (un gigantesco e obeso volatile) e “L’omaggio a Newton “ di Dalì.

Lo schema topografico della città è ibrido, sulla base cardo-decumanica appare un denso tessuto serpeggiante di strade secondarie che testimoniano la sovrapposizione di diverse dominazioni e colonizzazioni.

Ho avuto il privilegio di alloggiare in un albergo estremamente particolare: un edificio dalle fattezze di un giardino verticale, con piscina a filo d’orizzonte senza bordo, palme e vegetazione folta su tutti i piani, vista panoramica da qualsiasi stanza, possibilità di sollevare con un interruttore completamente la parete opaca della stanza trasformando l’abitazione in una finestra di fronte allo skyline eterogeno della città. Un edificio da pochi mesi aperto e firmato dallo studio architettonico Singaporese Woha Architects. Un hotel da sogno in Upper Pickering Street (che al tassista ho dovuto pronunciare “Aper picheri Strit”perché non capiva la pronuncia inglese).

Posso confermare che anche la “Chinatown” di Singapore non è assolutamente come la Cina a cui da due anni sono abituato, ma lungi da una mera somiglianza possiede comunque un suo fascino. L’hotel era molto vicino al quartiere cinese e comunque a Singapore quasi tutto risulta essere vicino a piedi o comunque facilmente raggiungibile. Il nome “Chinatown” è stato fornito a questa area dagli inglesi e comprende diversi quartieri: Kreta Ayer, Telok Ayer, Tanjong Pagar, Bukit Pasoh e Ann Siang Hill. Le vie storiche molto curate e dai colori sgargianti e la presenza di numerosi ristoranti dalle varie cucine mi hanno ricordato la zona storica di Taipa a Macau. In Birmania pare sia crollato un tempio buddhista importante nel vicino 1980, uno stupa secolare e così hanno deciso di inaugurare un nuovo tempio proprio nella Chinatown di Singapore; il complesso sacro della “Reliquia del dente di Buddha” si presenta come un palazzo enorme di 5 piani, aria condizionata, ascensore, scale di emergenza… più che in un tempio ricorda molto di più un centro commerciale ma gli interni fastosi e gli oggetti preziosi nel museo al secondo e terzo piano meritano una visita.

La zona di “Little India” (che tanto piccola non risulta) è uno dei quartieri che più elettrizza per la varietà di colori e profumi; è possibile dimenticarsi di essere nella “città perfetta”e immergersi nel caos poetico di tuc-tuc, venditori di telefonini, dischi di Bollywood, ristoranti tamil, singalesi, bengalesi, tinture all’Henné, edifici dai colori accesi, templi induisti (dalla caratteristica forma piramidale rappresentante il Monte Meru मेरु) nei quali abbonda il decorativismo e la rappresentazione scultorica. Non potevamo non provare un classico piatto del sud dell’India, ovvero il “Pollo Tandoori”: a base di pollo arrosto, yogurt e spezie a carne di pollo, che siano ali o cosce, viene marinata nello yogurt e condito con il tandoori masala. La tipica colorazione rossastra della carne viene ottenuta utilizzando la polvere di chili rosso, peperoncini di Cayenna o kashmiri, mentre una grande quantità di curcuma produce la colorazione arancione. Malgrado aver chiesto una versione leggermente piccante risultava molto speziato ma sul momento è stato un ottimo pasto. Provata anche una variante del pollo Tandoori chiamata Thikka मुर्ग़ टिक्का che malgrado in indi significhi “a pezzi” viene servita disossata e ha un sapore ottimo. Dopo la breve ma intensa esperienza a Singapore è sempre più forte la voglia di andare in India e Sri Lanka.

Anche il quartiere arabo è affascinante e l’area della grande moschea ricorda un luogo indefinito nel Golfo Persico, il mercato del cibo e le spezie è ricco di novità culinarie per noi occidentali e non ho resistito dal provare alcuni triangoli fritti con polvere di Taro (patata dolce) e anacardi, troppo oleosi ma buoni. Tra un Kebap, una bancarella malese e la carne caramellata cantonese trovare un caffè turco con gli interni in perfetto stile del Bosforo mi ha catapultato indietro nel tempo, a quella Istanbul che tanto mi ha affascinato e alla quale a breve tornerò.

Singapore è anche modernità e sperimentazione architettonica come dimostrano diversi progetti interessanti:

1)  Il “Sands”, l’hotel composto da tre torri di 55 piani l’una e un giardino pensile che a 200 metri le connette formando una piattaforma dalle sembianze di una nave e dove svetta la piscina pensile più alta del mondo (riservata esclusivamente ai clienti dell’hotel), con vista sulla baia e sullo skyline della città

2)  Il due “teatri sulla baia” progettati da DP Architects (DPA) e Michael Wilford & Partners (MWP), che tanto ricordano due ricci di terra con la pelle orientata per captare i raggi del sole, un buon esempio di architettura parametrica (Grasshopper) che io tanto adoro.

3)  Di fianco al colosso del Sands, l’intera area verde che porta alle acque del mare è stata oggetto di un interessante progetto da parte di Wilkinson Eyre Architects e Grant Associates: ovvero il “Gardens by the bay”. Al centro di un dedali di giardini curati e avvenieristici (come gli alberi metallici che alti 5 piani, in pochi anni saranno completamente ricoperti di piante) svettano senza dubbio due enormi padiglioni dalla forma elegante acciaio e vetro: il primo è il “cloud Forest” e ricrea l’habitat perfetto della foresta pluviale con una cascata di circa 30 metri, ricreando una nebbiolina tipica che accompagna la visita ascensionale-discensionale attraverso una varietà sbalorditiva di piante esotiche e fiori sgargianti. Il secondo padiglione di 1.2 ettari è il “Flower Dome” e qui si possono trovare le specie floreali più rare al mondo, divise in settori ed aree geografiche. Da notare che i due padiglioni sono stati al primo posto nella classifica delle architetture più interessanti del 2012.

4) Il complesso residenziale, mastodontico “Pinnacle Duxton” di ARC Studio Architecture + Urbanism, che con i suoi 156 metri svetta sui bassi tetti di Chinatown con la sua bicromia nero/bianca e la forma a serpente con passaggi pensili a mezz’aria.

La zona dell’Esplanade non rappresenta solo un ottimo punto panoramico dove orde di turisti cinesi si scattano innumerevoli foto con lo sfondo del particolare Sands, ma è anche il punto in cui è stato collocata la fotana del Merlion (鱼尾狮 yúwěishī, Harimau-Laut; கடல்சிங்கம) ovvero la statua ibrida “Leone/pesce” che a seguito delle leggenda della fondazione è diventato il simbolo della città. Il suo nome deriva dalla crasi delle parole mermaid (sirenetta) e lion (leone).

Malgrado la dimensione più ridotta rispetto ad Hong Kong, non è stato possibile in 4 giorni vederla tutta e così restano fuori dalla visita molti angoli della città che meritavano una visita come per esempio l’isola di Sentosa (sicuramente saranno oggetto della prossima visita).

L’ultimo ricordo di Singapore, dopo l’affollata ed elegante Orchard road, è stato il tramonto mozzafiato che ci ha accompagnato lasciando l’aeroporto di Changi; sembrava che in una tintura color malva e viola si fosse versato un rosso scarlatto con spruzzate irregolari di ocra e arancio.

Chi si ferma è perduto pare essere il mio motto, senza smettere di esplorare il mondo è già pronto un biglietto aereo per la Birmania per il prossimo ottobre.

Attendendo ulteriori esplorazioni esotiche mi godo la mia Italia e vado in vacanza 15 giorni nella mia Otranto!

Un saluto e buon Ferragosto!

😉

Galleria Fotografica relativa I

Galleria Fotografica relativa II


0 Risposte to “Singapore The Fine city, la “Città corretta” e la “Città delle multe”: La Cina, L’India, L’Arabia e Hong Kong al tempo stesso”



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